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Il paesaggio agrario
Basta osservare le montagne del Parco per coglierne la ricchezza dei paesaggi rurali tradizionali. In nessuna area d'Italia e forse del mondo si possono osservare, in uno spazio così ristretto, tanti paesaggi agrari così antichi e diversificati che affondano le loro radici fin nel periodo italico. Il settore meridionale del Gran Sasso è un monumento alla storia dell'agricoltura e della pastorizia mediterranea: campi aperti, scasci, coltivazioni di zafferano, mandorleti, oliveti e vigneti, terrazzamenti, pascoli d'alta quota, difese, seminativi arborati, si alternano, si sovrappongono quali tessere di un mosaico paesaggistico unico e irripetibile.
Nei campi coltivati sui pendii terrazzati, sulle conche inframontane, sono sopravvissute al tempo ed alle spietate leggi del mercato globale colture all'origine dell'agricoltura mediterranea come la lenticchia di Santo Stefano di Sessanio, la cicerchia di Castelvecchio Calvisio, la cicerchiola di Camarda, i ceci neri o rossi di Navelli, la pastinaca di Capitigano, le uve Moscatello di Castiglione a Casauria e il vitigno Pecorino dell'alta valle del Tronto. Lo stesso Montepulciano d'Abruzzo è comparso e si è differenziato, intorno al XVI secolo alle falde del Gran Sasso.
Il territorio del Parco ha rappresentato un importante centro di differenziazione secondaria anche per i prodotti introdotti più di recente dopo la scoperta dell'America, basti pensare alle varietà di fagioli coltivati a Paganica ed aree limitrofe (tondo, a olio, a pane) o del fagiolone di Accumuli. Su queste montagne si è conservata, quasi fosse una reliquia, la patata turchesa, caratterizzata dalla buccia di color viola e da un alto contenuto di antiossidanti (sostanze anti-tumorali) una delle prime patate introdotte in Europa dall'America.
Alcune vecchie varietà di piante coltivate possono vantare una storia millenaria, un "retaggio" culturale unico come nel caso della solina, il grano tenero coltivato in alta montagna, probabilmente la siligo dei romani, il grano declamato da Plinio e Columella come il migliore in assoluto per la panificazione. Le castagne della vallata del Tronto erano famose già all'epoca dei Romani quando nella città eterna erano conosciute sotto il nome di salara, dal nome dell'importante strada consolare che si dirigeva verso Ascoli.
Nei campi coltivati sui pendii terrazzati, sulle conche inframontane, sono sopravvissute al tempo ed alle spietate leggi del mercato globale colture all'origine dell'agricoltura mediterranea come la lenticchia di Santo Stefano di Sessanio, la cicerchia di Castelvecchio Calvisio, la cicerchiola di Camarda, i ceci neri o rossi di Navelli, la pastinaca di Capitigano, le uve Moscatello di Castiglione a Casauria e il vitigno Pecorino dell'alta valle del Tronto. Lo stesso Montepulciano d'Abruzzo è comparso e si è differenziato, intorno al XVI secolo alle falde del Gran Sasso.
Il territorio del Parco ha rappresentato un importante centro di differenziazione secondaria anche per i prodotti introdotti più di recente dopo la scoperta dell'America, basti pensare alle varietà di fagioli coltivati a Paganica ed aree limitrofe (tondo, a olio, a pane) o del fagiolone di Accumuli. Su queste montagne si è conservata, quasi fosse una reliquia, la patata turchesa, caratterizzata dalla buccia di color viola e da un alto contenuto di antiossidanti (sostanze anti-tumorali) una delle prime patate introdotte in Europa dall'America.
Alcune vecchie varietà di piante coltivate possono vantare una storia millenaria, un "retaggio" culturale unico come nel caso della solina, il grano tenero coltivato in alta montagna, probabilmente la siligo dei romani, il grano declamato da Plinio e Columella come il migliore in assoluto per la panificazione. Le castagne della vallata del Tronto erano famose già all'epoca dei Romani quando nella città eterna erano conosciute sotto il nome di salara, dal nome dell'importante strada consolare che si dirigeva verso Ascoli.