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Morfologia
Un percorso a fil di cielo
Il paesaggio del Parco è prevalentemente montano ed è determinato dalla presenza di tre gruppi montuosi: i Monti della Laga, a litologia silicea, costituiti da arenarie, i Monti Gemelli e la catena del Gran Sasso d'Italia, a litologia carbonatica, calcarei e dolomitici. Nell'area protetta, inoltre, ben venti montagne superano i 2000 m di quota, dalla Macera della Morte (2073 m) a Nord, sui Monti della Laga, a Monte Siella (2000 m) a Sud, nella catena del Gran Sasso d'Italia. La successione delle vette in quota è straordinaria: oltre 50 chilometri di aeree creste affilate, vertiginose pareti rocciose, torrioni slanciati, cime e vette, forre e valli, dolci pendii e tormentati versanti, sterminati altipiani; l'unica "interruzione" è rappresentata dal Valico delle Capannelle (1300 m), che, posto circa a metà strada, unisce i calcari e le dolomie del Gran Sasso con le arenarie dei Monti della Laga. Nei 50 chilometri di questo percorso "a fil di cielo", la natura si manifesta in alcune delle sue forme più peculiari ed il paesaggio, già di per se suggestivo e spettacolare, conserva, tra le innumerevoli pieghe, piante straordinarie, animali rarissimi, testimonianze dei trascorsi periodi glaciali.Il Gran Sasso, in particolare, grazie alla sua natura litologica, ha ben conservato le tracce degli sconvolgimenti climatici ed ecologici delle glaciazioni. Gli animali e le piante che vivevano nell'Artico e nelle fredde lande steppiche orientali, costrette a cercare territori adatti alla loro sopravvivenza, migrarono verso Sud e ad Ovest, colonizzando nel corso di millenni anche le montagne dell'Appennino centrale. Alla fine dell'ultima espansione glaciale, alcune specie risalirono le alte quote delle montagne lasciate libere dai ghiacciai, originando in gran parte la flora, la vegetazione e la fauna delle alte quote del Parco.
Le espansioni dei ghiacciai, naturalmente, non hanno "soltanto" favorito la migrazione di piante ed animali, ma hanno anche lasciato indelebili tracce sul territorio. In conseguenza di ciò sussistono sui versanti settentrionali delle montagne del Gran Sasso oltre 50 circhi glaciali, come quelli del Monte Scindarella, tra i più spettacolari. Essi sono stati "scavati" dagli accumuli di ghiaccio che scivolava lentamente a valle, incidendo il terreno secondo quella forma a "U", caratteristica delle valli glaciali, che si può osservare chiaramente nella Val Maone o nella Valle del Venacquaro.
Al termine dei loro lenti spostamenti verso valle, nel punto in cui il ghiaccio si scioglie, sono osservabili le morene, cioè gli accumuli di detriti che i ghiacciai hanno trascinato, raschiandoli ed asportandoli dal terreno; a Campo Imperatore, ad esempio, è straordinario osservare le tre morene concentriche lasciate a circa 1500 m di quota, presso le "Coppe di Santo Stefano". Altra forma di paesaggio poco nota, ma presente ed eccezionalmente ben conservata è quella dei rock-glaciers, che sono delle colate di pietre e detriti che hanno un nucleo di ghiaccio sepolto; sul Gran Sasso se ne possono osservare molti inattivi ma probabilmente ne esiste ancora uno attivo. Alle quote più elevate di Corno Grande i ghiaioni conservano ghiaccio anche in estate; tale straordinaria presenza è visibile nei suoli a strisce parallele recentemente scoperti sul massiccio e dovuti alla presenza di aghi di ghiaccio sotterraneo che sollevano il detrito e lo fanno scivolare lateralmente conferendo al terreno l'alternanza di strisce scure e chiare. I ghiaioni sono ambienti delicatissimi nei quali si gioca una partita di equilibrio tra il detrito che scivola a valle e le piante pioniere che colonizzano, grazie a radici lunghissime e fortissime, il substrato mobile. La ricchezza di tali ambienti è straordinaria e le piante sono quasi tutte endemiche.